Leo Merati
artista residente 2019,
artista residente

Leo Merati

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Ci occorre sempre un simbolo concreto per afferrare un’idea come si afferra un pezzo di pane. 
Ma non è mai il simbolo che potremmo supporre, quello calzante e perfetto.
Ma un’altra cosa che indica obliquamente, a una cert’ora propizia.

Cristina Campo
Lettere a Mita

Cosa ci coinvolge veramente? Quando sentiamo di fare parte di qualcosa?

Come un pezzo di pane s’interroga sull’appartenenza e sull’entusiasmo: il totale coinvolgimento di cui ognuno ha fatto esperienza durante una conversazione intorno a un tavolo o a un pensiero comune, in un momento preciso.

Il progetto ha una natura ibrida ed è nato dall’incontro con Leo Merati e dal desiderio di osservare insieme il movimento del mondo attraverso il video, la fotografia, la parola, il suono.
Spostandosi fra i diversi sguardi che ogni disciplina offre, il corpo è libero di fare esperienza della realtà e di trattenere, ogni volta, informazioni specifiche da tradurre in movimento. Analizzando dinamiche da punti di vista diversi, cerchiamo di avvicinarci allo sguardo obliquo, trasversale, di cui parla Cristina Campo, nella speranza che una traiettoria diagonale possa includere più prospettive ed essere il più possibile accessibile. Cerchiamo le tracce concrete che, come le briciole di Pollicino, ci portano ad afferrare un’idea – una sensazione, un’esperienza -, a darle corpo e forma, per poterla mettere sul tavolo, per condividerla.

Il movimento che c’interessa indagare, studiare, (ri)creare, è quello che porta due sconosciuti ad avvicinarsi fra loro o una persona a entrare in uno spazio in cui non è mai stata prima. Così come il corpo necessita di spazio per muoversi, Come un pezzo di pane necessita di invitare le persone a entrare, perché si nutre della relazione con loro e di ciò che ognuno desidera condividere.

In residenza insieme a Leo Merati.

Alice crede nella précision du hasard, nelle crepe da cui entra luce e nella poesia. Studiando tecnica Nikolais, Axis Syllabus e Composição em Tempo Real, si è convinta che danzare sia muoversi nel mondo e fra gli altri. Fatica a definire i contorni delle cose, trova fertili le zone di confine e i movimenti delle greggi. Alla ricerca artistica e alla creazione (Rivoluzione, 2018, con Lucia Palladino e Volumi, 2018, con Tommy Ruggero) affianca il lavoro per e con l’infanzia in teatro (BiancaNera, 2012), nelle scuole (Play Attention, 2017) e a PianoTerra, sede di QB Quanto Basta, per cui ha curato la rassegna FOP! | Piccoli passi da gigante, 2018-2019. D’estate, lavora in alpeggio, dove impara dagli animali che insegnano senza sapere e riesce a separare ciò che preme da ciò che pressa.

in.col.to
pratiche di biodiversità

un progetto di  Lucia Guarino
con il supporto alla collaborazione di  Emma Tramontana, PAV – parco arte vivente (Torino), Terzo Giardino – Firenze

Leo Merati partecipa a: Edizione 2019,

in.col.to
pratiche di biodiversità

un progetto di  Lucia Guarino
con il supporto alla collaborazione di  Emma Tramontana, PAV – parco arte vivente (Torino), Terzo Giardino – Firenze

Cristina Caprioli

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Cristina Caprioli è una delle coreografe più affermate e riconosciute a livello internazionale della scena svedese. A metà anni ’90 fonda l’organizzazione indipendente Ccap, dove produce performance, installazioni, film, oggetti, pubblicazioni e altre coreografie, e conduce progetti di ricerca interdisciplinari di lungo periodo. Il suo lavoro coreografico si caratterizza per precisione, complessità e un’alta tecnologia del corpo. Tutte le sue produzioni sfidano i formati normativi e le economie di scambio del settore. Negli anni 2008-2013 è stata docente di composizione coreografica presso la Scuola di Danza e Circo (DOCH) di Stoccolma, dove ha sviluppato metodi e formati per la ricerca artistica. Ha ricevuto diversi premi e sovvenzioni e ha avuto un ruolo significativo nello sviluppo del discorso critico nel campo della danza e della coreografia in Svezia. Nel 2024 riceve il Leone d’oro alla carriera dalla Biennale Danza di Venezia.

Cristina Caprioli partecipa a: Edizione 2015-16, Edizione 2019,

Alice Ruggero

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Ci occorre sempre un simbolo concreto per afferrare un’idea come si afferra un pezzo di pane. 
Ma non è mai il simbolo che potremmo supporre, quello calzante e perfetto.
Ma un’altra cosa che indica obliquamente, a una cert’ora propizia.

Cristina Campo
Lettere a Mita

Cosa ci coinvolge veramente? Quando sentiamo di fare parte di qualcosa?

Come un pezzo di pane s’interroga sull’appartenenza e sull’entusiasmo: il totale coinvolgimento di cui ognuno ha fatto esperienza durante una conversazione intorno a un tavolo o a un pensiero comune, in un momento preciso.

Il progetto ha una natura ibrida ed è nato dall’incontro con Leo Merati e dal desiderio di osservare insieme il movimento del mondo attraverso il video, la fotografia, la parola, il suono.
Spostandosi fra i diversi sguardi che ogni disciplina offre, il corpo è libero di fare esperienza della realtà e di trattenere, ogni volta, informazioni specifiche da tradurre in movimento. Analizzando dinamiche da punti di vista diversi, cerchiamo di avvicinarci allo sguardo obliquo, trasversale, di cui parla Cristina Campo, nella speranza che una traiettoria diagonale possa includere più prospettive ed essere il più possibile accessibile. Cerchiamo le tracce concrete che, come le briciole di Pollicino, ci portano ad afferrare un’idea – una sensazione, un’esperienza -, a darle corpo e forma, per poterla mettere sul tavolo, per condividerla.

Il movimento che c’interessa indagare, studiare, (ri)creare, è quello che porta due sconosciuti ad avvicinarsi fra loro o una persona a entrare in uno spazio in cui non è mai stata prima. Così come il corpo necessita di spazio per muoversi, Come un pezzo di pane necessita di invitare le persone a entrare, perché si nutre della relazione con loro e di ciò che ognuno desidera condividere.

In residenza insieme a Leo Merati.

Alice crede nella précision du hasard, nelle crepe da cui entra luce e nella poesia. Studiando tecnica Nikolais, Axis Syllabus e Composição em Tempo Real, si è convinta che danzare sia muoversi nel mondo e fra gli altri. Fatica a definire i contorni delle cose, trova fertili le zone di confine e i movimenti delle greggi. Alla ricerca artistica e alla creazione (Rivoluzione, 2018, con Lucia Palladino e Volumi, 2018, con Tommy Ruggero) affianca il lavoro per e con l’infanzia in teatro (BiancaNera, 2012), nelle scuole (Play Attention, 2017) e a PianoTerra, sede di QB Quanto Basta, per cui ha curato la rassegna FOP! | Piccoli passi da gigante, 2018-2019. D’estate, lavora in alpeggio, dove impara dagli animali che insegnano senza sapere e riesce a separare ciò che preme da ciò che pressa.

in.col.to
pratiche di biodiversità

un progetto di  Lucia Guarino
con il supporto alla collaborazione di  Emma Tramontana, PAV – parco arte vivente (Torino), Terzo Giardino – Firenze

Alice Ruggero e Leo Merati partecipa a: Edizione 2019,

in.col.to
pratiche di biodiversità

un progetto di  Lucia Guarino
con il supporto alla collaborazione di  Emma Tramontana, PAV – parco arte vivente (Torino), Terzo Giardino – Firenze

Erika Di Crescenzo

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Ricercatrice indipendente nel campo del teatro e della danza, antropologia, filosofia, mistica. Laureata al Dams con una tesi di carattere antropologico, ha frequentato la scuola di danza classica Academié Principesse Grace di Montecarlo, il Programma de Recherche et Composition Coreographique presso la Fondation Royaumont di Parigi, e il master in progettazione culturale presso Fondazione Fitzcarrardo. Ha modellato il suo percorso di autrice e performer attraverso creazioni originali principalmente in Italia, Francia e Svizzera (The Fish, Etude pour la Sainteté, Asfissia, Clara Falls in Love, La Bagarre, Tentativi Vergini di Oscenità, E20, E questo è, etc..).
Lavora come regista, e coreografa, interprete, autrice, danzatrice, performer, curatrice, organizzatrice, davanti e dietro le quinte nel campo della danza e teatro contemporaneo.
Nel 2015 con Carlotta Scioldo fonda il progetto Workspace Ricerca X, che cura fino al 2021.

Adriana Borriello

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Adriana Borriello partecipa a: Edizione 2019,

Elisa Turco Liveri

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Fare spazio, dilatare i tempi e i vuoti all’nterno della struttura, cadere dentro di essa attraverso pratiche di ascolto e attese, lasciar stare, tenere a bada l’attitudine volontaria dell’agire e del produrre, che ci porta a compiere atti già esistenti nella nostra gamma mentale. Tentare di forzare i limiti e stare in una posizione a lungo. Entrare e uscire dalla massima concentrazione per favorire uno scambio continuo tra spazio interno e spazio esterno. Chiudere e aprire gli occhi, abitare piccoli spazi, zone oscure, far emergere cosa è necessario per me in quel momento. Mi sembra che spesso vengano reiterate alcune forme, date come giuste, o belle, e ne vengano escluse altre, tutte quelle che non sono ascrivibili a nessuna categoria e che, per me, riguardano il rapporto tra la specificità dell’individuo e il suo corpo, e di conseguenza la relazione con lo spazio circostante e con gli altri.
Mi interrogo costantemente su che ti tipo di presenza si scelga di portare in scena oggi, fare un lavoro lento e sostanzialmente legato a qualcosa d'invisibile è totalmente in controtendenza con ciò che sta accadendo ora. Siamo di fronte ad un cambiamento radicale in ambito percettivo. Nella mia ricerca vorrei aprire un campo d’indagine in grado di dialogare con ambiti come le neuroscienze, lo sviluppo cognitivo, la meditazione. Una serie di riflessioni, di prove, di parole e pratiche da proporre ad altri corpi, per condividere un lavoro sulla centratura che si riflette immediatamente sul processo creativo che vogliamo mettere in atto. Vorrei iniziare questo processo di ricerca a partire dal brano Silence di Pauline Oliveros e dalle sue pratiche di meditazioni sonore.

Inizia la sua formazione diplomandosi presso il corso biennale di alta formazione per attori dell’Ert diretto da Stefano Vercelli. Approfondisce i suoi studi nell’ambito del teatro fisico seguendo per alcuni anni il lavoro di Cesare Ronconi e Marco Sgrosso. Nel 2008 partecipa alla scuola di alta formazione di Chiara Guidi “Tecniche di vocalità molecolare” e studia canto popolare con Germana Giannini. Dal 2011 Approfondisce lo studio sul corpo e la danza incontrando diverse persone e pensieri tra i quali: Hervé Diasnas, Maya Carroll, Samuel Lefebvre, Simona Bertozzi, Alessandra Sini. Dal 2014 segue assiduamente i seminari di danza butoh con Alessandra Cristiani e nel 2017 partecipa al progetto di formazione ISA presso Inteatro Polverigi. Dal 2016 pratica e studia Yoga Iyengar. Come interprete ha lavorato per 3 anni con Pippo Di Marca e inoltre con Oscar Goméz Mata, Romeo Castellucci, Chiara Guidi, Teatro Valdoca, Laminarie, Divadlo Continuo (Rep. Ceca).
Nel 2011 fonda il gruppo Dehors/Audela insieme a Salvatore Insana (videomaker) con cui realizza lavori che mettono in dialogo le arti performative con il video e il cinema sperimentale. La compagnia è sostenuta per due anni da Anghiari Dance Hub, selezionata in vari festival italiani e internazionali tra cui: La Briqueterie (Parigi), Fabbrica Europa, Kilowatt, Cross, Teatri di Vetro, Sofia Undeground Performance Art Festival, Danza & Foco Festival (Rio de Janeiro), Festival de la Imagen (Colombia). Elabora inoltre “Perfor(m)are il quotidiano” progetto formativo sperimentale rivolto a diverse fasce sociali e a zone geografiche marginali.

www.dehorsaudela.com

Elisa Turco Liveri partecipa a: Edizione 2019,

Elisabetta Consonni

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2020 artista residente

Partendo dai due lavori all’attivo Be water my friend e Ti voglio un bene pubblico, l’uno che affronta in maniera installativa il problema geopolitico inerente alla risorsa dell’acqua e l’altro, in linea con una ricerca portata avanti da anni, sulla relazione tra performativita’ e spazio pubblico, il quesito piu’ ampio che mi interessa ffrontare riguarda la relazione tra la pratica artistica e la pratica politica.

Come un aspetto politico viene indagato nel trasformarsi in prodotto artistico? Quanto di politico devo far rientrare nel processo di creazione?
Posso sperare in un impatto sociale e considerare il lavoro artistico come detonatore di cambiamento sociale?
Perche’ mi interessa tanto la questione arte-politica?

Il tempo dedicato a ricerca X diventerebbe quindi una sospensione dal tempo produttivo, per riflettere sulla piega che la mia pratica artistica ha preso negli ultimi anni, senza una necessita’ di cristallizzare il tutto in categorie ma almeno mettendone a fuoco certi aspetti.

Coreografa tutto, essere umani e disumani, oggetti mobili e immobili, mappe, interstizi e gruppi vacanze spaziali per costruire una rete di relazioni, sottili e forti, come il vetro di zucchero.

Laureata  in Scienze della Comunicazione con una tesi sulla costruzione sociale del corpo nella danza, frequenta The Place- London Contemporary Dance School (2004-2005) e approfondisce indipendentemente la ricerca in ambito performativo ed esistenziale in Olanda (2005-2009)  e in Polonia (2013-2015).

I suoi lavori Maquillage (2007), Fotoritocco (2012, vincitore di Presente Futuro Palermo 2012), Plutone (2016) e And the colored girls say: doo da doo da doo da doo (2018, progetto finalista a DNA appunti coreografici 2016 e Cross Award 2017) si situano nello spazio di dialogo tra la danza e altri linguaggi artistici. Dal 2013 è ideatrice di Ergonomica, un progetto di ricerca di arte performativa nello spazio pubblico e di dispositivi di attivazione della partecipazione civica . All’interno del progetto realizza le azioni site specific  We want to become architecture e Go with the flow ( Polonia, 2014), la costruzione coreografata di Pompenpurg Park (Rotterdam, Biennale di Architettura 2014), Il secondo Paradosso di Zenone ( 2016), Abbastanza Spazio per la più tenera delle attenzioni (progetto per la Biennale Danza di Venezia 2016) e cura, assieme a Connecting Cultures, il simposio Spazio Ergonomico (sempre nell’ambito di Biennale Danza 2016). Nel 2019 vince il bando Open- Creazione [Urbana] Contemporanea con il progetto Ti voglio un bene pubblico.

Elisabetta Consonni partecipa a: Edizione 2019, Edizione 2020,

Annika Pannitto

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The Third Table è una ricerca coreografica sulla possibile costruzione di un oggetto che eccede qualsiasi significato specifico. Un oggetto che è, autonomo, e che non rimanda o funziona come metafora per altro.
 La ricerca apre una riflessione che già qualche anno fa si era presentata come un’intuizione: la possibilità cioè di considerare la danza come ciò che “fa” lo spazio e il tempo, e non come una produzione di significati.
 Questa ricerca è dunque un ulteriore passo in avanti: non solo la danza “fa” lo spazio e il tempo, ma genera un altro oggetto che, seppur invisibile, si può percepire come un volume.
L’osservazione del processo mentale e fisico che si attiva durante la produzione della danza è la pratica centrale in questa ricerca per formulare l’esposizione di un pensiero in movimento, un’articolazione fisica che è il risultato di una serie di relazioni che succedono nel corpo che danza. 
La ricerca pone anche l’accento sulla performance come un incontro tra l’opera e il pubblico, in cui tutti i punti di vista e le interpretazioni sono reali e vere.
 Lo sguardo, e dunque il meccanismo della rappresentazione, diventa un altro aspetto centrale di questo progetto.
La principale domanda emerge necessaria: data la natura effimera del movimento, e la sua caratteristica di invisibilità (è possibile vedere il corpo che produce il movimento ma non il movimento stesso), cosa vediamo quando ci troviamo di fronte a una danza? Come si può generare dal vivo un oggetto coreografico che prescinde il corpo? 
The third table è forse proprio quello che emerge partendo da una serie di condizioni, e che diventa l’oggetto in comune tra chi produce la danza e chi la guarda.

Annika Pannitto è coreografa, danzatrice e ricercatrice nell’ambito della coreografia contemporanea.
Il suo lavoro ha a che fare con relazione tra danza e coreografia e guarda al corpo umano e alla sua relazione con lo spazio e il tempo.
I suoi lavori sono stati ospitati in diversi contesti Europei (tra gli altri, il teatro Schouwuburg di Rotterdam, l’Atelier Re.Al di Lisbona, il Festival Diskurs di Giessen, il Centro Danza Canal di Madrid).
Collabora regolarmente con artisti di altre discipline per arricchire la sua pratica e imparare da altri percorsi artistici.
Insieme alla designer Erica Preli cura dal 2012 la pubblicazione Table Conversation.

The Third Table

un progetto di ricerca ideato da Annika Pannitto
in collaborazione con Elisa D’Amico
foto Italy Marom

annikapannitto.com

Annika Pannitto partecipa a: Edizione 2019,

The Third Table

un progetto di ricerca ideato da Annika Pannitto
in collaborazione con Elisa D’Amico
foto Italy Marom

annikapannitto.com

Marina Donatone

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Il progetto di ricerca LOOK MA, NO HANDS muove dal tentativo di studiare la funzione della scelta in rapporto alla generazione del movimento. A partire dall’ascolto del peso inteso come forza motrice, il corpo che danza viene interrogato su quei processi di negoziazione tra controllo e abbandono che lo spingono a dire sì a un movimento piuttosto che a un altro.
Contestualmente al lavoro sulla pratica, si intende andare a fondo dei sistemi di trasmissione attraverso i quali questa ricerca si attiva e di come questi si definiscono a partire dal suo oggetto, provando a chiarificarne gli elementi essenziali.
L’intento è di raggiungere uno stato del corpo in cui i danzatori si sperimentino come fossero su una  una tavola da surf, dove l’accogliere il movimento dell’onda che avanza è un tutt’uno con la possibilità di governarla, giocando con una certa “potenza fisica del fare o del non fare, del sì e del no”, modulando l’eredità di un movimento che li precede, e che pure non esisterebbe senza di loro.

Marina Donatone nasce a Roma nel 1993. Si forma presso la Budapest Contemporary Dance Academy, studiando con insegnanti quali Eva Karczag (Trisha Brown), Adrien Hód (Hodworks) e Marco Torrice (Rosas), e si perfeziona seguendo laboratori di Laurent Chétouane, Silvia Rampelli e Adriana Borriello. Nel 2013 è tra gli artisti in residenza del progetto di Fabbrica Europa Nostoi – histoires des retours et d’exodes, in collaborazione con il Teatro Nazionale di Tunisi e sotto la direzione di Michael Marmarinos. Dal 2014 al 2016 prende parte a Biennale College Danza all’interno della Biennale di Venezia. Nel 2017 è una dei partecipanti a DANCE MAKER 1, corso di alta specializzazione sulle pratiche coreografiche a cura del CSC – Centro per la Scena Contemporanea di Bassano del Grappa.
In qualità di danzatrice ha lavorato in Italia con artisti e coreografi quali Virgilio Sieni, Jacopo Miliani e Andrea Costanzo Martini e all’estero con il coreografo ungherese Csaba Molnár. Parallelamente all’attività di danzatrice ha collaborato come dance maker alla realizzazione di performance per spazi non convenzionali, tra cui il Museo Civico di Bassano del Grappa (con il sostegno del CSC di Bassano del Grappa) e l’Accademia di Belle Arti di Brera (produzione Zona K e Stanze). Il suo primo progetto autoriale LOOK MA, NO HANDS è finalista a DNAppunti coreografici 2018 all’interno di Romaeuropa festival. Nel 2019 è una dei partecipanti a Boarding Pass Plus Dance, progetto per l’internazionalizzazione e la mobilità di giovani artisti e operatori under 35, curato da Short Theatre, CSC – Bassano del Grappa, Lavanderia a Vapore, Indisciplinarte/Terni Festival e Santarcangelo Festival.

Marina Donatone partecipa a: Edizione 2019,

Rebecca Marta D’Andrea

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Esiste uno spazio interattivo che collega il mondo reale e la dimensione inconscia? Può la creatività darci una chiave per diventare co-creattori più consapevoli in questo spazio liminale?

Tramite una ri-scrittura poetica, il corpo diventa un paesaggio malleabile. capace di accedere ad un io profondo dove è racchiuso un senso di se’ universale. Che intersezioni possono emergere tra il nostro spazio interiore e lo spazio esteriore
quando manteniamo questa coscienza? Possiamo dar voce ad una realtà primordiale di cui siamo tutti parte e trovare un nuovo linguaggio che ci accomuna in questo sentire?

A partire dalla prospettiva fenomenologica che il nostro corpo è parte dello spazio e non separato da esso, dando voce al nostro archivio personale di memorie, desideri e immagini inconsce apriamo la possibilita’ di comprendere una parte piu’ essenziale di noi stessi, composta di significati archetipi,forme simboliche individuali e transpersonali in trasformazione costante da cui
siamo mossi e che muoviamo.

Attraverso la danza, in un processo di riscoperta e riorientamento creativo di queste memorie, tramite un ascolto profondo del corpo, descostruendo i canali percettivi, possiamo accedere ad uno spazio liminale di interazione capace di trasformare la nostra percezione di questi archetipi.
Facendo esperienza delle sensazioni presenti nel corpo la mia ricerca investiga come l’ immaginario del corpo possa trasformarsi in ‘immagine cinetica’, fonte propulsiva per il movimento. Cosa accade al tracciato del corpo quando rivive il
proprio sogno interno? Che nuove coordinate spazio temporali possono emergere tra piu corpi in questa ricerca?
Come comunicano queste ‘immagini cinetiche/immagini sogno’ tra loro?

Nello spazio tra stasi e movimento la mia ricerca vuole investigare le intersezioni tra percezione interiore ed esteriore, ri-abitando uno spazio liminale più vasto e transpersonale. Riprendendo coscienza del nostro senso cinetico e utilizzando la ‘sinestesia’ come modalita’ percettiva che oltrepassa modalita’ abituali di utilizzo dei sensi primari a cui generalmente ci affidiamo,sono interessata a investigare i fili che collegano le pluridimensionalita’ del corpo. e le possibilita` comunicative che emergono da questo ri-orientamento nello spazio-tempo.

Rebecca Marta D’Andrea è una danzautrice e ricercatrice di danza. Nata nel 1983, dal 2003 vive tra Inghilterra e Italia. Laureatasi in coreografia presso il Dartington College of Arts nel 2006, nel 2016 ha conseguito un Master in Pratiche Creative a Trinity Laban Conservatoire of Music and Dance, Independent Dance e Siobhan Davies Dance di Londra con il supporto di una borsa di studio Gill Clarke di Leverhulme Trust.
La sua ricerca artistica artistica indaga le potenzialità del corpo creativo di rivelare nuovi aspetti nel dialogo tra diverse forme e linguaggi artistici, come strumento per svelare pluridimensionalita’ percettive all’interno del nostro senso del ‘reale’ parte di un complesso sistema di fenomeni interconnessi in trasformazione costante.
Ha vissuto a Bristol dal 2012 dove ha insegnato regolarmente Contact Improvisation, Danza Contemporanea e Danza Creativa a professionisti e non. A Torino ha recentemente collaborato con il Collettivo Arcadia PAN-k Ensemble e insegnato presso ArteMovimento Centro di Ricerca Coreografica.

Rebecca Marta D’Andrea
Movement Artist

rebeccamartadandrea.wordpress.com
fb LiminalBody

(la foto in primo piano e’ di Jasmin Kokkola dal progetto Divine Ridiculous di Daniel Hernandez, la foto a figura intera è di Chiara Bizzarra Giovanelli)

Rebecca Marta D'Andrea partecipa a: Edizione 2019,

Rebecca Marta D’Andrea
Movement Artist

rebeccamartadandrea.wordpress.com
fb LiminalBody

(la foto in primo piano e’ di Jasmin Kokkola dal progetto Divine Ridiculous di Daniel Hernandez, la foto a figura intera è di Chiara Bizzarra Giovanelli)