COLTURA / CULTURA

(Elisa D’Amico, Francesco Dalmasso, Erika Di Crescenzo, Sara Manente per Workspace Ricerca X)

 

Ricerca X è impegnata da cinque anni per far emergere una cultura della ricerca artistica in Italia, fenomeno in crescita che produce nuovi saperi.

Interessati al binomio cultura/coltura, siamo partiti da una situazione che evidenziasse una possibile cultura della ricerca artistica e che al tempo stesso la coltivasse. Abbiamo deciso di porci delle domande a cui rispondere individualmente e unire i pensieri prodotti, invece di scrivere un testo che trovasse l’accordo fra ognuno.

(Inclinato) In un ambiente di ricerca, la conoscenza prodotta non emerge sulla base di paradigmi di produzione legati all’estrazione (di risorse) e alla distruzione (di riserve limitate), ma si genera attraverso dinamiche di coesistenza, compresenza, prossimità di corpi, materialità, pratiche, linguaggi, tecnologie, pensiero critico. Non si corre il rischio di un esaurimento precoce perché si tratta di un corpus che si auto-alimenta e si rigenera per via interattiva.

Le condizioni perché questo avvenga e si mantenga sono variabili e contestuali. Per me si tratta di accedere con una certa inclinazione.

La dimensione in cui entro ha a che fare con un posizionamento orizzontale espanso, disteso, che suggerisca un superamento di ordini gerarchici, anche quelli meno appariscenti o più radicati, sullo sfondo di un’immagine comune, per quanto fuori fuoco, abile a cogliere le possibilità di deviazione rispetto ad un tragitto tracciato dall’aspettativa. Che lasci abbastanza spazio per una libertà di movimento, di avanzata e ritirata, oscillante tra il sapere e il non sapere.

Senza risposte ferree, con domande plastiche.

(Plastico) Partendo dall’idea che siamo già parte di una fitta trama di relazioni, non statiche, la ricerca prende talvolta la forma di una mappatura. Per fare una mappa discrimino certi oggetti. È una questione di attenzione. Nel fare questo prendo e allo stesso tempo do una forma. Questo movimento plastico è un processo di va e vieni tra formare e informare. Non si tratta di una flessibilità assoluta, come un elastico che tornerà alla sua forma iniziale. E’ un lavoro attivo che risulta in un fare e lasciar(si) fare che cambia entrambi gli oggetti in questione.

Nel mio ultimo lavoro, sono partita dall’idea di mettere in dialogo tre tipi di saperi: processi di fermentazione, pratiche di ricerca artistica e teorie femministe vicine alla biologia. Questa triangolazione permette di riconsiderare le relazioni corpi-ambiente e il corpo in sé sia come prodotto di discorsi che lo distinguono in categorie (umano/non umano, etc) ma anche nella sua carnalità come manifestazione materiale di quei discorsi.

Sempre di più penso a produzione, ricerca e distribuzione come piani che s’intersecano e a volte sovrappongono. Questo si manifesta in forme ibride durante le quali il lavoro si apre: ad esempio intervistando il pubblico come ricercatore, editando una rivista patinata, pensando al momento del suo “launch” e a un successivo spazio discorsivo, un giardino, in cui i diversi materiali verranno attivati, visti, rimescolati, ingeriti dal pubblico in un tempo dilatato.

(Reazione) L’idea di separazione porta con sé un irrigidimento dei confini: cosa succede se i confini diventano superficie di scambio, porosa e traspirante, nel quale il passaggio tra gli elementi comporta necessariamente la perdita di qualcosa e l’emergere di qualcos’altro?

E’ per me un processo opposto al contenimento, ma apre ad uno spazio-tempo consapevolmente disperso, in continua mutazione.

Pensando alla pratica artistica come un campo di lavoro che si compone di una molteplicità di elementi che tendono verso l’esterno, verso l’interno e gli uni verso gli altri, immagino di maneggiare tutti gli aspetti (produttivi, di ricerca e di approfondimento) in una misura in cui, idealmente, si fanno spazio a vicenda. Da una fase si genera l’altra e il tempo speso su una permette all’altra di emergere. Mi interessa molto questo passaggio, il passaggio della reazione. Non mi appare sempre definito, a volte comprendo solo a posteriori come e quando è accaduto. Spesso lascio esaurire il materiale precedente per capire che qualcos’altro, contemporaneamente, si sta definendo.

Come quando un’informazione presa su un appunto passato finalmente si dispiega e assume un proprio senso. E’ frutto di una navigazione e di uno stato di osservazione attivi.

In questo reticolato cerco di tenere viva la prospettiva dell’ “oltre”, immaginando che l’azione o il pensiero di oggi possano riverberare verso prospettive ancora non conoscibili ma che si definiranno.

(Prossimità) Ho un interesse verso la linguistica in quanto pilota negli studi sulla significazione. Rifletto sulla prossemica, che è stato il primo tentativo organico per lo sviluppo della semiologia dello spazio dove si sono concentrate le possibilità di includere lo status della corporeità nella costruzione e manifestazione del senso. L’analisi prossemica, in quanto testo prodotto dai corpi, descrive rapporti intersoggettivi, distanze estensive o intensive, graduali o categoriche, universi di valore di una comunità. Con queste premesse diciamo cultura, nel senso di coltivare la relazione tra i corpi creatori di significato. In questo tempo sarebbe importante guardare questi corpi (umani, vegetali, minerali, celesti) oltre il loro aspetto visibile, verso nuove dialettiche. Penso in termini di evoluzione di coscienza nel mondo naturale. Diversi studi empirici rivelano la capacità dell’acqua o di una pianta di formulare pensiero. Se potessimo rimettere l’uomo nella posizione di ascoltatore. Sostituire al suprematismo gerarchico l’idea di corpo-antenna immerso in un campo elettromagnetico che riceve e inoltra segnali. Quando Clement parla di giardiniere piuttosto che di landscape designer penso a questo. E’ necessario lavorare sulla sensibilità, verso una solidarietà che non riduca i conflitti ma che ci abitui a gestire i paradossi, che ci insegni a vivere la prossimità fuori da una concezione puramente spaziale.

 

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